Identificativo: DO20030914014AAA
Data: 14/09/2003
Testata: IL SOLE 24 ORE
Giorno: Domenica
Inserto: DOMENICA / ARTE
Linz - All'Ars Electronica Festival gli intrecci tra immagini, suoni e tecnologie innovative

Dipingere con la voce
Dai dispositivi che riproducono i rumori delle nostre città ai concerti live per "computer solo": la musica è la vera protagonista dell'edizione 2003
di Chiara Somajni

Jaap Blonk e Joan La Barbara sono in piedi ai lati del palcoscenico. Con la voce muovono un enorme rettangolo proiettato sullo schermo che li separa, un po' come fanno i bambini altalenando a cavalcioni sulle due estremità di un'asse in bilico. Un inizio in bianco e nero, astratto, lieve che presto si anima del virtuosismo vocale dei due straordinari performer e di quanto la loro voce e i loro movimenti generano: un dirompente concerto sonoro e visivo, in cui suoni e colori sono strettamente correlati. Tanto i movimenti quanto l'emissione vocale sono infatti monitorati e rielaborati in tempo reale: così dalle loro bocche insieme ai giochi di voce escono forme colorate, le loro ombre si staccano e diventano elementi ritmici della trama musicale-visiva, l'intero spazio scenico diventa una tastiera cromatica. Messa di Voce di Golan Levin e Zachary Lieberman è organizzata in una serie di quadri, nell'ambito dei quali i due performer improvvisano su una serie di regole di interazione prestabilite, cercando di dare alla propria interpretazione un unitario senso musicale e visivo. Sono quadri talvolta giocosi, come quando il borbottio di Jaap si traduce in un'emissione di bolle nere che volano verso l'alto progressivamente riempiendo lo spazio fino a cascare all'improvviso a terra, in una repentina inversione delle leggi fisiche. Talvolta astratti, come nell'ultima sequenza, quando la voce letteralmente dipinge sullo schermo; e lo cancella con un semplice "Ssssht".

Messa di Voce ha debuttato all'Ars Electronica Festival che l'ha prodotto e del quale l'opera ha rappresentato una sorta di controcanto poetico rispetto alla sovrabbondante presenza di opere tendenti all'autocompiacimento tecnologico e di rado espressive. É un rischio inevitabile per un'imponente manifestazione come quella di Linz (Austria), che mira a investigare il terreno in cui si intrecciano arte, tecnologia e società privilegiando l'innovazione, e che negli anni è cresciuta fino a perdere quel mordente proprio di realtà più giovani. Così il festival oscilla in maniera sempre più evidente tra il desiderio di premiare la ricerca tecnologica e la necessità di dare maggiore spazio a una scena artistica che di questi strumenti si è progressivamente appropriata ma per la quale l'innovazione non è più necessariamente un valore prioritario. L'ambizione di coprire in maniera interdisciplinare un ambito tanto vasto è difficile da perseguire senza perdere la bussola, così pur continuando a essere una straordinaria caratteristica di questo festival ne diventa anche il limite. Ambiguità che emergono sia nella selezione delle opere per i premi Cyberarts sia nella sezione monografica del festival, quest'anno dedicata al codice in quanto "linguaggio del nostro tempo" ovvero "codice=legge codice=arte codice=vita".

Un tema urgente, come sottolinea Florian Cramer (giovane studioso di letteratura, computing e net art), ma posto in maniera ingannevole: è fuorviante infatti usarlo in senso metaforico, "non ha in sé nulla a che vedere con la legge, l'arte, la vita; può semmai diventare materia per creare delle opere d'arte". Nel corso del convegno questa distinzione almeno è emersa chiaramente, grazie a interventi che del "codice", ovvero del linguaggio artificiale di programmazione dei computer, hanno mostrato le derivazioni storiche (Kittel), le affinità e le differenze che esistono rispetto ai linguaggi puramente iconici quindi privi di grammatica (Cramer), alle lingue naturali o agli utopici tentativi di imporre lingue universali come il Volapuk o l'Esperanto (Findeisen). Accanto ad alcune relazioni del tutto eccentriche (come quella deludente di Howard Rheingold, venuto a promuovere il suo libro sugli smart mobs) e a interessanti considerazioni sui vantaggi che comporterebbe un approccio naturale, generativo, "genetico" nello sviluppo dei software rispetto all'attuale approccio top down (che rischia di diventare presto ingestibile, Bentley), molto spazio è stato dato alla ricerca artistica. Sono gli artisti che in questi anni hanno cercato di mostrare come il software sia inteso oggi sul piano culturale, che ne hanno decodificato e messo a nudo la natura, mostrandone i limiti e rendendolo più accessibile concettualmente e praticamente. Un esempio, tratto dalla mostra "Codedoc" curata da Christiane Paul per il Whitney Museum e presentata a Linz: Bradford Paley ha realizzato un programma che se eseguito mostra se stesso, nonché la sequenza secondo la quale è stato elaborato, la stringa di comandi che in quel momento viene letta ed eseguita dal computer e la presunta progressione nella lettura dell'osservatore. Di interazione con i software è fatta sempre più la nostra quotidianità, comprenderne la natura diventa dunque una necessità. C'è anche chi si sforza di rendere più accessibile la programmazione stessa, come Casey Reas Ben Fry con Processing, progetto artistico-didattico online. Tra le rideclinazioni più intriganti del tema, l'esilarante concerto dal vivo per computer solo di Alexei Schulgin (che con 386dx ha riproposto una serie di classici rock interpretati da un sintetizzatore vocale), l'installazione 24! di Aschbauer, Pfaffenbicher e Schreiber che traduce nello spazio fisico visivamente e acusticamente un semplice programma, e Trash Mirror 2002 di Daniel Rozin, un grande schermo che invece dei pixel impiega frammenti di oggetti riciclati, e che restituisce in tempo reale la sagoma della nostra immagine (ripresa da una telecamera) attraverso un gioco di chiaroscuri ottenuto muovendo i singoli frammenti.

Venendo alla mostra delle opere selezionate per le Nica d'oro, i premi per l'arte interattiva e per la Rete sono stati assegnati a due progetti che impiegano rispettivamente Gps e Wi-Fi (tecnologie attualmente molto in) e che sono concepiti come giochi sociali: una caccia all'uomo il primo (Can you see me now? di Blast Theory e altri), una sorta di caccia al tesoro il secondo (Noderunner di Y. Gitman e C.J.G. de Llarena). Mentre la sezione dedicata alla Rete è piuttosto ricca (di vari progetti si è già parlato su queste pagine; rinviamo al sito www.aec.at), la mostra dedicata alle installazioni interattive è risultata nel complesso piuttosto deludente. Meritano però d'essere segnalati almeno Deep Walls di Scott Snibbe (uno schermo passando davanti al quale la nostra ombra in movimento viene catturata e riproposta in piccoli loop accanto ad altre 11); Block Jam di H. Newton-Dunn, H. Nakano, J. Gibson e R. Kuwakubo (una serie di mattoncini combinabili che permettono di comporre musica con progressivi gradi di sofisticatezza); Streetscape di Iori Nakai (un dispositivo che restituisce la memoria sonora di alcune città) e gli strumenti assurdi, musicali e non, di Maywa Denki. La musica ritorna come promettente filo conduttore di questa edizione, ricordiamo dunque il premio per la musica digitale, andato ad Astro Twin / Cosmos di A. Yoshida, Sachiko M e U. Kawasaki; e infine Tim Tom di R. Segaud e C. Pougeoise, vincitore per la sezione Computer animation e Visual effect.